L'Appennino emiliano-romagnolo, pur non rappresentando come le Alpi piemontesi un precoce rifugio di militari e ribelli, costituisce un luogo d'elezione della Resistenza italiana.
All'indomani dell'8 settembre, infatti, diversi gruppi spontanei salgono in montagna (Corbari nel ravennate, i Cervi nel reggiano, Barbolini nel modenese); e molte canoniche diventano ben presto rifugio per soldati sbandati, ex-prigionieri ed ebrei.
Ma queste iniziative, prive di organizzazione militare e di appoggio politico, vengono sopraffatte dalla reazione nazifascista e dai disagi dell'inverno.
In primavera, però, con la scadenza dei bandi di arruolamento, molti giovani si riversano in montagna, andando a nutrire le formazioni partigiane. Tra marzo e aprile esse impegnano l'occupante in numerose battaglie campali, quali Cerrè Sologno, Lago Santo, Monte Santa Giulia e Calanco.
In diverse località, come Montecavolo o Castel D'Aiano, si registrano anche forme di resistenza civile.
Con la ritirata verso la Linea Gotica, i tedeschi avviano pesanti rastrellamenti, che investono il modenese-reggiano a fine marzo (strage di Monchio e Cervarolo), il forlivese e il riminese in aprile (Fragheto).
Nel mese di giugno i partigiani compiono importanti operazioni di sabotaggio delle vie di comunicazione e riescono a liberare ampie zone delle vallate emiliane, avviando esperimenti di autogoverno, tra i quali si distinguono la Repubblica di Montefiorino e quella di Bobbio.
Ben presto però scattano i pesanti rastrellamenti noti come "Operazione Wallenstein", che interessano prima l'area a est della Cisa (30 giugno-7 luglio), poi quella a ovest (18-29 luglio), quindi la zona modenese (30 luglio-3 agosto).
In questo contesto vengono compiuti numerosi eccidi (Bettola, Tavolicci, Neviano), che culminano a fine settembre nella più grave strage del contesto italiano, quella di Montesole, con quasi 800 civili morti.
Dopo l'estate i partigiani riprendono a combattere strenuamente a Rivoschio, Monte Battaglia, Ca' Malanca; ma subiscono gravi perdite a Monte Caio e Legoreccio.
I rastrellamenti tedeschi, resi ancora più cruenti dall'intervento dei temibili “mongoli", proseguono tra novembre e gennaio nel piacentino, nel parmense, nel modenese.
Le formazioni partigiane si frammentano, ma non si disperdono: una parte filtra oltre il fronte, altri gruppi si nascondono per affrontare il rigido inverno.
Molte aree della montagna, dopo la devastazione nazifascista, vengono abbandonate dai presidi; le giunte elettive riprendono a funzionare sperimentando nuove forme di gestione degli ammassi e dei servizi.
Con l'arrivo della bella stagione i ribelli riprendono l'offensiva.
Alcune formazioni, come la Brigata Mario Gordini o la Divisione Modena Armando, entrano come reparti operativi nella VII e V armata Alleata.
Ma già prima della ripresa delle operazioni angloamericane, i partigiani compiono importanti operazioni militari, come l'attacco a Botteghe di Albinea del 27 marzo e la difesa delle centrali elettriche di Ligonchio e Farneta.
Manifestazioni di civili si svolgono a Monteveglio e Bibbiano, culminando nella giornata preinsurrezionale del 13 aprile.
Il 14 la V armata americana attacca il dispositivo difensivo tedesco sugli Appennini. I partigiani della montagna scendono a valle e partecipano attivamente alla liberazione delle principali città della regione.