Bardi, piccola “capitale partigiana”, fu il fulcro della lotta di liberazione dell’alta Val Ceno. Dopo l’armistizio divenne rifugio per sbandati, antifascisti e prigionieri di guerra Alleati fuggiti dai campi piacentini parmensi, ma anche centro di smistamento per renitenti e aspiranti partigiani. Il bardigiano fu sede dei primi nuclei resistenti e del primo scontro armato del parmense. Il giorno di Natale 1943, nella frazione di Osacca, un nucleo armato antifascista respinse l’attacco di un folto gruppo di militi fascisti e lo costrinse a ritirarsi.
Il 10 giugno 1944, dopo aver attaccato i presidi fascisti di Bardi, Varsi, Varano Melegari e la polveriera di Rubbiano, partigiani provenienti soprattutto dalle formazioni della 12a Brigata Garibaldi, liberarono un’ampia fascia della Val Ceno, dando vita a un territorio libero dalla presenza nazifascista. L’autogoverno partigiano resistette per circa un mese. All’inizio di luglio l’imponente rastrellamento tedesco “Operazione Wallenstein II” mise fine a quella esperienza, provocando lo sbandamento dei partigiani e stragi di civili in villaggi e paesi. Tra gli eccidi più efferati vi furono quelli di due paesi a circa 10 km da Bardi: Strela, 17 vittime il 19 luglio, e Sidolo, 8 vittime il 20 luglio.
La presenza partigiana non fu eliminata, ma si riorganizzò quando le truppe nemiche lasciarono quei monti. Colpita da nuovi rastrellamenti nell’inverno ‘44/‘45, la Resistenza riuscì a riprendersi e portare a termine la lotta, fino alla liberazione della valle.
Testimonianza di Don Innocente Capella sulla strage di Sidolo
Testimonianza di Costantina Bertani sulla strage di Strela