L’8 settembre in Italia...
L’8 settembre 1943 rappresentò per l’Italia un dramma e un evento che segnò la fine dell’ostilità contro gli Alleati e la conseguente fine dell’Alleanza con la Germania nazista. Con questa data si è soliti indicare l’inizio della guerra civile. L’Italia era un Paese al collasso, non più in grado di sostenere lo sforzo bellico. Durante l’estate del ‘43 il re e gli alti comandi dell’esercito, decisero di abbandonare la Germania e uscire dalla guerra; nei mesi di luglio e agosto, in segreto, i capi del governo italiano presero contatto con gli Alleati per negoziare la resa. Le clausole dell’accordo, tenuto all’inizio segreto, prevedevano la resa incondizionata del nostro paese.
L’8 settembre del 1943 venne ufficializzato l’Armistizio di Cassibile (firmato il 3 settembre) tra l’Italia e gli Alleati. In seguito all’Armistizio nacquero diversi movimenti politici e militari che si opponevano al nazifascismo, tra cui il Comitato di Liberazione Nazionale che sarà guida politica e militare della lotta di Liberazione. Iniziarono ad organizzarsi le prime formazioni partigiane che daranno vita a forme di Resistenza armata e civile, animate da forze eterogenee, differenti sia per l’orientamento politico che per l’impostazione ideologica, ma unite dall’obiettivo comune della liberazione del paese dal nemico nazifascista.
...e a Faenza
La sera dell’8 settembre, secondo una testimonianza di Gino Monti, si tenne una riunione in cui si discusse animatamente su come affrontare la crisi causata dall’Armistizio. Monti propose di prendere le armi per iniziare «La lotta armata contro tedeschi e fascisti[1]».
Il 9 settembre, un folto gruppo di partigiani di ogni corrente politica, recuperò le armi dalle caserme per evitare che i tedeschi e i fascisti ne prendessero possesso[2]. Come scrisse Vito Laraia le armi vennero recuperate all'interno di alcune caserme, abbandonate dai bersaglieri perché trasferitisi a Casola Valsenio[3].
Questi partigiani si accamparono presso le Case Grandi dove i proprietari, i Conti Ferniani (Franco, Rino e Vincenzo), furono successivamente arrestati per aver dato ospitalità ai ribelli[4].
Dalla testimonianza di Edoardo Bedeschi, (detto E’ gnocc) si evince che il gruppo si sia fermato in quella villa per circa una settimana[5].
La lapide
Nel 1964 venne affissa questa lapide nel luogo dove i partigiani avevano nascosto le armi recuperate[1].
La Lapide si trova nella frazione di Errano, in zona privata.
I primi ribelli
Paolo Ragazzini ricorda d’aver raggiunto il 14 settembre i compagni riuniti alle Case Grandi, dove divenne commissario politico della compagnia comandata dal Tenente Enrico Ferro[1], un altro gruppo era guidato da Francesco Donatini e aveva come commissario politico Gino Monti.
Insieme a loro era presente anche Enrico Benazzi che cita altri componenti presenti nella Villa tra i quali: Angelo Morelli, Renato Emaldi, Cesare Vespignani, Silvio Mantellini, Giuseppe Billi, con ruoli direttivi, oltre a Monti, Nino Cimatti, Quinto Bartoli e Costante Pirazzini. In pochi giorni il gruppo arrivò a contare 40 ribelli[1]. A questi nomi Nediani aggiunge anche quello di Silvio Corbari[2].
Per Sesto Liverani questa è «La prima formazione guerrigliera della Romagna[3]».
Il racconto delle prime imprese
Abbiamo due versioni differenti dell’attività svolta dal battaglione “Ravenna” dipendente dal Comando Unico dell’ Emilia-Romagna. In uno scritto, conservato presso l’archivio GMA di Faenza, è scritto:
«10 settembre 1943: Si racimola il salvabile dalle caserme locali abbandonate dalle truppe regolari e si inizia la lotta contro i responsabili dello sfacelo e del disonore della nostra Patria[1]».
Una versione decisamente più attenta agli inizi della lotta partigiana viene invece redatta e successivamente diffusa:
«Il 10 settembre 1943 pochi uomini entravano nelle Caserme abbandonate di Faenza e cercavano di rifornirsi di quanto era in esse rimasto di equipaggiamento militare e, soprattutto, di armi […].
Eravamo pochi, ma consci del dovere e soprattutto del pericolo che ci attendeva: per questo sentivamo la necessità di avvicinarsi alla lotta sufficientemente armati [...].
Quanto noi potemmo recuperare in quei burrascosi giorni del settembre 1943 si limitava ad uno scarso numero di moschetti e munizioni: e con queste armi appena sufficienti alla più elementare difesa personale, noi ci avviammo coscientemente ad essere la bandiera della resistenza del nostro popolo ingannato, e di conseguenza a divenire il bersaglio delle rappresaglie di un esercito capace di sostenere ancora, e non per breve tempo, la lotta contro le Armate Alleate in Italia.
Il nostro posto non era più nella città, specie dopo che, in una colluttazione con i nostri, il noto fascista repubblichino Mazzotti era rimasto ucciso. Mentre dunque in Faenza i tedeschi assumevano il più rigido controllo militare e si stava costituendo la GNR e il PFR rialzava il capo, trovammo il nostro primo punto di partenza e di recapito presso le Case Grandi in parr. Errano. Qui si ingrossavano le file, si chiariscono i concetti e si comincia soprattutto ad abituarsi a fronteggiare le più disparate difficoltà; ma ben presto si passa ad agire nella zona collinosa, la quale offre maggiori garanzie di sicurezza, e la possibilità di una azione più efficace, tenendo conto della particolare situazione di ribelli in cui spontaneamente avevamo sentito la necessità di porci. In questi primissimi tempi i quadri risultano così formati:
Comandante: Gino Monti. Collegamenti con la città: Nino Cimatti. Consulente Militare: Donati Francesco. Commissario: Bruno Bandini. Stato Maggiore e collegamenti: Ferrucci Pietro[1]».
Ricerche a cura di Simone Farneti, Matteo Lippi e Loreno Maretti.
Immagini
Alcuni passaggi di Valerio Evangelisti, Il sole dell’avvenire: nella notte ci guidano le stelle, Mondadori 2016, raccontano le prime riunioni dei Resistenti a Villa Ferniani.
________________________________________________
[1]Angelo Emiliani, Storia del PCI di Faenza (1919 - 1944), Polaris, Faenza 2022, p. 175.
[2]Bruno Nediani, Momenti dell’antifascismo e della lotta di liberazione in Alessandro Montevecchi, Bruno Nediani e Maria Gioia Tavoni (a cura di), Politica e società a Faenza tra '800 e '900. Saggi e testimonianze dall'antifascismo alla Resistenza, Galeati, Imola 1977 p. 254.
[3]Vito Laraia, Quei sette mesi a Faenza nel 1943 da sottotenente dei Bersaglieri, in 2001 Romagna, #136, Tipografia Faentina Editrice, Faenza 2011, p. 35.
[4]Bruno Nediani, Momenti dell’antifascismo e della lotta di liberazione in Alessandro Montevecchi, Bruno Nediani e Maria Gioia Tavoni (a cura di), Politica e società a Faenza tra '800 e '900. Saggi e testimonianze dall'antifascismo alla Resistenza, Galeati, Imola 1977 p. 254 in nota.
[5]Testimonianza di Edoardo Bedeschii in Gli anni della clandestinità antifascista pubblicato in Alessandro Montevecchi, Bruno Nediani e Maria Gioia Tavoni (a cura di), Politica e società a Faenza tra '800 e '900. Saggi e testimonianze dall'antifascismo alla Resistenza, Galeati, Imola 1977 p. 383.
[6]Testimonianza di Francesco Donatini in Gli anni della clandestinità antifascista pubblicato in Alessandro Montevecchi, Bruno Nediani e Maria Gioia Tavoni (a cura di), Politica e società a Faenza tra '800 e '900. Saggi e testimonianze dall'antifascismo alla Resistenza, Galeati, Imola 1977 p. 397: «Parte del materiale venne nascosto dentro un pozzo situato più in alto del casamento».
[7]Testimonianza di Paolo Ragazzini in Gli anni della clandestinità antifascista pubblicato in A. Montevecchi, B. Nediani e M. G. Tavoni (a cura di), Politica e società a Faenza tra '800 e '900. Saggi e testimonianze dall'antifascismo alla Resistenza, Galeati, Imola 1977 p. 363.
[8]Testimonianza di Enrico Benazzi in Gli anni della clandestinità antifascista pubblicato in A. Montevecchi, B. Nediani e M. G. Tavoni (a cura di), Politica e società a Faenza tra '800 e '900. Saggi e testimonianze dall'antifascismo alla Resistenza, Galeati, Imola 1977 p. 390.
[9]Bruno Nediani, Momenti dell’antifascismo e della lotta di liberazione in A. Montevecchi, B. Nediani e M. G. Tavoni (a cura di), Politica e società a Faenza tra '800 e '900. Saggi e testimonianze dall'antifascismo alla Resistenza, Galeati, Imola 1977 p. 254.
[10]Sesto Liverani, La lotta armata (1943-1945) in A. Montevecchi, B. Nediani e M. G. Tavoni (a cura di), Politica e società a Faenza tra '800 e '900. Saggi e testimonianze dall'antifascismo alla Resistenza, Galeati, Imola 1977 p. 288.
[11]Il documento, senza data, è conservato in archivio privato contenente le carte del GMA di Faenza, fascicolo varie
[12]Il documento, senza data, è conservato presso gli Archivi del Novecento di Ravenna, Busta C1, fascicolo (C) XVI Battaglione Ravenna.