Nell’estate del 1944 il carcere di San Giovanni in Monte è affollato anche di numerosi antifascisti: partigiani, detenuti politici e cittadini innocenti vittime della delazione. Grazie ai contatti interni alla struttura, i dirigenti politici e militari della Resistenza cittadina progettano un piano di liberazione per i perseguitati politici e lo stesso Comando Militare Partigiano Regionale (CUMER) si convince della necessità di liberare i detenuti, compresi quelli comuni, per creare confusione in città. La difficoltà maggiore consiste nel fatto che la prigione di San Giovanni in Monte sorge nel pieno centro di Bologna e nel raggio di 300 metri si trovano due caserme della brigata nera, la questura, la prefettura e la sede del comando tedesco.
Alle 21 e 45 del 9 agosto 1944 due autovetture con a bordo 6 uomini ciascuna partono dalla base di Via Calvart nel quartiere Bolognina. Oltre a 4 finti prigionieri, 3 partigiani vestono la divisa della Wermarcht e altri 5 indossano divise fasciste. Alle 22 le macchine si fermano nel piazzale di fronte alla Chiesa. I 4 prigionieri scendono con le mani alzate, spintonati fino al campanello.
Quando le guardie del carcere rispondono i partigiani affermano di avere arrestato dei ribelli catturati sull’Appennino. I custodi esitano a causa della mancanza di qualsiasi comunicazione ufficiale, ma non era la prima volta che pattuglie nazifasciste si presentavano senza preavviso dopo la cattura di nemici, così eseguono l’ordine. Nel frattempo 4 uomini rimangono fuori di guardia. L’effetto sorpresa funziona: i resistenti occupano l’ufficio matricola, mettono fuori uso il telefono e danno ordini precisi di liberare i prigionieri.
Nel settore dei detenuti politici c’è qualche difficoltà: alcuni si rifiutano di uscire perché sanno per esperienza che i trasferimenti notturni portano a morte certa. All’esterno del carcere intanto uno dei due poliziotti fascisti bloccati dai partigiani rimasti di guardia si rifiuta di cedere le armi e inizia a sparare. Ferisce un partigiano e viene ucciso. In quella notte 340 detenuti ottengono la libertà e fuggono, mentre i 12 partigiani della 7° Brigata GAP li proteggono con le armi. L’evasione dal carcere di San Giovanni in Monte è la conferma che gli occupanti tedeschi e fascisti, pur avendo il controllo del territorio, sono attaccabili e che le forze dei resistenti sono mature per la lotta sul campo urbano.
William Michelini, videotestimonianza realizzata il 19 Gennaio 2006, a cura di Luisa Cigognetti e Gisella Gaspari