Vicolo San Bernardino – Rifugio antiaereo

Rimini / La distruzione che viene dal cielo. I segni della guerra

Vicolo San Bernardino – Rifugio antiaereo

Posto nei sotterranei dell'omonima chiesa (di San Bernardino) viene allestito un rifugio antiaereo che secondo la testimonianza di Aronne Valmaggi, uno tra i primi soccorritori, «era un rifugio paraschegge che era servito per la I Guerra Mondiale: praticamente ci si poteva conservare le bottiglie in fresco, lì, e basta […] si scendeva per una scaletta e ci si trovava in un ampio locale sostenuto da robuste volte. Le bombe non lo colpirono direttamente ma vi fecero precipitare sopra i muri dei fabbricati laterali per cui coloro che si trovavano dentro morirono schiacciati e soffocati».

Viene colpito durante il bombardamento del 28 dicembre 1943, il primo di tre giorni di incessanti bombardamenti che sconvolgono la città svuotandola della quasi totalità della popolazione. Sotto il crollo dei muri della chiesa rimangono uccisi 56 civili, in gran parte donne e bambini; i superstiti sono solo due. Questo è l’eccidio numericamente più consistente conosciuto da Rimini durante la guerra.


 

 

Allegato 1

Testimonianza di Aronne Valmaggi
… al primo allarme del 28 dicembre mi trovavo proprio nella piazzetta di San Bernardino, vidi mio fratello che lavorava al Credito Romagnolo, e a un certo punto gli dissi testualmente:  “Elio vieni fuori con me, andiamo in campagna che c’è la mamma che ha fatto il pane fresco”: dice: “no rimango qui perché è cessato l’allarme” – l’ufficio del Credito Romagnolo non era ancora sfollato – “e ritorno in ufficio”. Io, caso strano, mi son fermato l’ho salutato ciao, ciao. E lo vidi così, mi è rimasto impresso effettivamente come fosse l’ultima volta. Ci siamo salutati, io quel giorno avevo la bicicletta – che era di mio povero zio – e sono andato là in via Bilancioni, dove c’era una mia amica che era la Guidi Isa, che era sfollata lì da sua nonna e ci trovavamo sempre lì: fra l’altro, lì dove c’era Guidi Isa c’era un avvistamento radio di un tedesco che era sempre vicino al rifugio di San Bernardino: perché vicino al rifugio di San Bernardino, dove c’era la ex caserma, non so se ricorda, c’era un avvistamento radio, un ponte radio che veniva usato per dare gli allarmi o che so io: e lì c’era un tedesco che mentre noi gironzolavamo su e giù per via Bilancioni scappò fuori – si chiamava Carlo – e dice: “Aronne… Isa… scappare…”scappare…” insomma diceva che stavano arrivando non so quanti aerei: infatti io presi su la via del Torrente e mi incolonnai lungo questa via: cominciai a correre un po’ e andai verso il così detto mulino Canaletti e lì ci fu una scarica di bombe, tale che ad un certo momento non ho capito più niente. Di lì sono corso in campagna da mia mamma… poco lontano ci siamo persi; insomma io mi son trovato che erano le tre del pomeriggio quando è finito il bombardamento… Ad un certo momento mi son trovato con una signora, capirà a 15 anni si era dei bambini, e son tornato giù al calar della sera. Quando son tornato giù son passato da via Montefeltro borgo S. Andrea, dove dicevano che era stato colpito il rifugio Cecchi con tanti morti. In via Garibaldi vicino alla chiesa di S. Agnese non si riusciva a passare: dicevano: “Qui c’è sotto uno, qui c’è sotto un altro”. Poi ad un certo punto uno che conoscevo mi ha detto: “Hanno colpito il rifugio di S. Bernardino”, ci sono… corro al rifugio e cosa vedo: vedo che c’era un sacco di macerie e che i tedeschi – ed uno di loro un austriaco, un certo Martino, vedendomi mi disse: “venite qua, venite qua, ad aiutare”. Infatti io mi misi ad aiutarli. Poi la prima cosa che ho visto è stata qui la Benedettini Ester che è la cugina di mia mamma. Ricordo che le andai vicino e le dissi: “Sterina, Sterina, cosa è successo?”. Era già rinvenuta; io me lo ricordo questo particolare. Vedendomi dice, “la mamma dov’è?” Ah, la mamma è poco lontana: difatti avevo visto la sua mamma e la sua sorella che erano forse un po’ più sotto di lei ma, purtroppo, morte.

Lei invece per fortuna, questo è il particolare, era appoggiata alla volta del muro ed era rimasta con la testa fuori, o ad un certo momento forse qualcuno, come ha spiegato lei, è riuscito a farla respirare, nel corpo non aveva subito nessun danno ed è riuscita a sopravvivere. Poi altro particolare, ricordo, che c’era la Marisa Cratella, una ragazza che conosceva molto bene mio fratello, che fra l’altro erano anche fidanzati, chiesi a lei che era tutta tumefatta in viso: Marisa dov’è Elio? – Ma! Elio era qui vicino, qui vicino, e vicino c’erano solo le macerie. A un certo momento allora mi son messo a scavare da tutte le parti e poi c’era il fratello di questa Marisa Cratella, l’unico superstite, che adesso non è più a Rimini, però ci siamo visti tanti anni addietro, che ad un certo momento… siamo scappati; eravamo due ragazzini, eh, questo è il particolare: dico: qui Sergio siamo soli, non c’era neanche mia mamma, non era ancora venuta, e allora ci siamo messi a lavorare tutti e due.

Altro particolare: Cratella Sergio, si è salvato perché era all’ingresso della grotta, cioè dove c’era una volta di scale che probabilmente tutte le altre macerie sono andate sotto, sopra gli altri e lui è riuscito a scappare. In poche parole il rifugio è caduto: perché son cadute le bombe lateralmente, i due muri di testa hanno fatto, diciamo così, son crollati su questa… nel bel mezzo della strada e quindi han fatto una specie di sacco e questa gente purtroppo è morta soffocata. Un altro particolare che ricordo è che continuando a scavare ho tirato fuori mio fratello, tutto sudato il che dimostra che lui non è morto sul colpo ma è morto soffocato. Dopo abbiamo preso tutti questi morti e li abbiamo adagiati lì nella piazzetta di S. Bernardino. Sulla piazzetta abbiamo fatto una fila, mi ricordo che mio fratello era il terzo della fila, e lì c’era una stesa di cinquanta, sessanta morti. Dopo venne mia mamma, mia mamma poveretta non ebbe il coraggio di vederli. Si faceva sera… dove andiamo… andiamo a casa? Chi è si azzardava più, perché noi non eravamo sfollati, abitavamo in via Bertola, eravamo io, mia mamma e mio fratello; un altro mio fratello era prigioniero in Germania: conclusione e un certo punto abbiamo messo tutti sti morti stesi nella chiesa di San Bernardino, sotto l’altare maggiore, abbiamo fatto una stesa di morti che arrivava fino alla metà della chiesa.

(brano tratto da La guerra a Rimini e sulla Linea gotica dal Foglia al Marecchia, a cura di Bruno Ghigi, Ed. Ghigi, Rimini, 1980; pagg. 317-318)


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