L'edificio più significativo della contaminazione stilistica tra l'area monumentale dantesca da una parte, con la vicina chiesa romanica di San Francesco, e la nuova edilizia littoria dall'altra è senza dubbio il raffinato Palazzo del Provincia. Progettato dall'architetto Giulio Ulisse Arata, fu eretto fra il 1925 e il 1928 sui resti di un antico palazzo dei conti Rasponi, trasformato in albergo Byron alla fine dell'Ottocento. Nel 1918 era stato però acquistato e ampliato da Nullo Baldini come sede della Federazione ravennate delle Cooperative. Fu quello un gesto di alto contenuto simbolico: la cooperazione socialista che prendeva il posto del più lussuoso albergo della città, a testimonianza del prestigio economico raggiunto in quegli anni. Ma poco dopo il fascismo nascente ne fece il bersaglio della propria aggressività, proprio al momento della conquista di Ravenna. Nella notte fra il 27 e il 28 luglio 1922 le squadre d'assalto di Italo Balbo e di Achille Grandi dissolsero tra le fiamme quel simbolo del proletariato romagnolo. Il nuovo fabbricato voluto successivamente dal regime, ampliato in tre corpi armonici, sia all'esterno che nei meandri interni, è ricco di citazioni neoromaniche e bizantine, come le colonnine in pietra bianca che dividono le bifore al piano superiore, le colonne del porticato a terra e i mattoni della facciata variamente orientati. Ma sarà il balcone dell'arengario in angolo, in perfetto stile neomedievale, a protendersi verso i nuovi edifici razionalistici, rivestiti di travertino bianco, che profilano la Piazza del Littorio, esito dei principali interventi urbani di sventramento, e la via dell'Impero che conduceva fuori città. Durante il periodo della Repubblica Sociale dal Capo della Provincia furono emessi i minacciosi bandi sull'ordine pubblico nel ravennate, sugli ammassi e sull'arruolamento obbligatori, ed infine tradotte le misure di rappresaglia tedesca nei confronti della popolazione civile.