Coordinate Tappa: 44.41444109412214, 10.204481542328722
Maddalena Madureri nacque il 28 maggio 1908 a Vairo, frazione di Palanzano, da una numerosa famiglia contadina. Primogenita di sei figli, crebbe con la madre Marianna, energica mater familias e guida morale, pur analfabeta.
Fin da giovane contribuì al mantenimento della famiglia durante le lunghe assenze del padre per lavoro. Dopo un periodo a Milano come domestica e bambinaia, tornò a Vairo e visse al secondo piano della casa in strada A. Soldati 23; al piano inferiore si trovava la scuola. L’edificio, in posizione strategica, servì durante la guerra per aiutare i partigiani e avvistare i tedeschi, dando l’allarme con le campane. “E quindi i tedeschi – racconta Mariapia, nipote di Maddalena – li volevano fucilare”. Ma la piccola, grazie ai tratti nordici, veniva usata dalla nonna per intenerire i soldati. Marianna la prendeva in braccio, scendeva in cortile e li distraeva con sorrisi e finta ingenuità: “Ah, sei dei nostri! Sei bella!”.
Così, mentre la madre presidiava la casa, Maddalena cominciò ad agire fuori dalle mura domestiche, entrando nella lotta di Liberazione: dapprima aiutò i soldati “sbandati” dopo l’8 settembre, poi collaborò con ufficiali inglesi della RAF fuggiti dal campo di Fontanellato. Diventò staffetta del distaccamento Zinelli (poi 47ª Brigata Garibaldi) e, dal dicembre 1944, informatrice del maggiore inglese Holland, infiltrandosi tra i tedeschi a Collagna (RE), presso l’albergo Posta. Aveva 35 anni quando entrò nella Resistenza.
Abituata alla fatica e indipendente – condizione insolita per l’epoca – mise a disposizione la propria casa, le capacità organizzative e la conoscenza del territorio, sfruttando la libertà di movimento che il suo ruolo di donna le consentiva. Vestiva da uomo: braghe larghe, giubba militare, fazzoletto al collo (come nel ritratto di Bertoli), scarponi e una pistola alla cintola.
Che sapesse sparare o meno era secondario: era pratica con le armi e trasportava documenti, ordini, cibo, medicine e armi ai partigiani delle valli dell’Enza e del Cedra. Coraggio, forza e sangue freddo le permisero di salvarsi anche nei momenti più critici. Nemmeno l’amore per Gianni Di Mattei “Juan”, comandante e compagno, cambiò la sua indole.
Fu un uomo importante per lei, forse l’unico capace di tenerle testa. Dopo la sua morte, insieme a Sergio Dalla Tana “Mario”, dissotterrò il corpo dell’uomo amato e lo portò in un luogo segreto dove ricevette la benedizione. Dopo la guerra si trasferì a Milano con il marito Nino Porzio; rimasta vedova nel 1954, tornò a Vairo, dove morì il 30 settembre 1996. Partecipò per anni alle commemorazioni del 25 aprile, raccontando ai giovani la sua storia.
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