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Di Ave Melioli, detta “Tita”, scrive Teresa Vergalli nel libro Storie di una staffetta partigiana: era una bella ragazza di Bibbiano (RE), salita in montagna fin dai primi mesi della Resistenza.
Compagna del comandante del suo distaccamento (William), morì in un’imboscata sulle colline parmensi. Era incinta, e pare che i fascisti abbiano infierito sul suo corpo. Anche Mario Villa, nome di battaglia “Montagnana”, la ricorda nel suo Diario dei giorni lunghi.
Tita, racconta, proveniva da una famiglia antifascista ed era stata tra le prime ad aderire alla Resistenza, diventando presto un punto di riferimento per i nuclei organizzati da William. Bruna, non molto alta ma di bella presenza, era dinamica, intelligente e coraggiosa: portava a termine compiti difficili con entusiasmo e passione, ed era una guida sicura per molti sbandati diretti verso le formazioni partigiane. Con William nacque anche un legame affettivo, e dopo la guerra avevano deciso di sposarsi.
Ma Tita fu uccisa dai tedeschi proprio alla vigilia di diventare madre. Teresa Vergalli, a proposito della rispettabilità delle partigiane, tiene a precisare: “Alcune delle ragazze della casa delle staffette erano fidanzate con partigiani o con comandanti e per questo erano escluse da altri approcci o corteggiamenti. Per quello che ho visto personalmente, eravamo circondate da grande rispetto. Può anche darsi che per mia inesperienza e goffaggine io non abbia saputo cogliere sfumature o deroghe.
È vero che la situazione era poco romantica e comoda, ma i partigiani erano giovani e le ragazze pure. Non è possibile che siano stati tutti santi, ma come ho detto, io racconto solo ciò che so, o che mi è passato accanto”. Al rigore storiografico si accompagna la velata necessità di doversi in qualche modo giustificare, agli occhi di una opinione pubblica tutt'altro che aperta e rispettosa.
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