Le Valli di Comacchio sono un importante crocevia nelle vicende della Seconda guerra mondiale, conflitto che segna un’ideale linea di confine in questa parte del Ferrarese tra prima e dopo, rispetto sia alla loro dimensione, sia al loro vissuto.
In un paesaggio “fuori dal tempo” si delineano e si dipanano le storie degli “uomini della valle”, dei “partigiani in barca” che, occupati i casoni di valle, partono con le loro azioni guidati da barcaioli esperti di quel reticolo tra acque e terra, sicuro per chi lo conosce, ma insidioso per chi vi si vuole avventurare.
Comacchio è la prima città liberata dai soli partigiani.
I casoni delle valli «oggi si contano sulle dita di una mano…; li vediamo solitari sui dossi dello specchio lacustre risparmiato dalle bonifiche idrauliche del secolo appena passato; prossimi alla riva, sono una tappa dell’incomparabile scenario vallivo. I loro muri impregnati di salsedine raccontano ai visitatori storie d’altri tempi …
… quegli edifici erano o appostamenti per le guardie addette alla sorveglianza contro i pescatori di frodo (fiocinini) o la casa di valle: la dimora dei vallanti, gli addetti alla coltivazione della laguna e alla raccolta del prodotto, nel complesso di costruzioni murarie e di congegni per la pesca che prendeva il nome di stazione di valle».(Aniello Zamboni, I casoni di valle, «Ferrara Voci», 28, 2008)
I protagonisti della Resistenza in queste zone sono Renata Viganò (Bologna, 1900-1976) e Antonio Meluschi (Vigarano Mainarda, Ferrara, 1909 - Bologna, 1977).
Renata, giovanissima autrice (i versi Ginestra in fiore sono del 1913) e collaboratrice, nel dopoguerra, di quotidiani e riviste, rimane famosa per il romanzo L’Agnese va a morire (1949), dal quale viene tratto l’omonimo film diretto da Giuliano Mondaldo (1976). Renata rivive la Resistenza anche in Donne nella Resistenza (1955), dedicato alle sue concittadine bolognesi antifasciste, e nei racconti raccolti di Matrimonio in brigata (1976).
Fino alla Liberazione opera per la Resistenza collaborando alla stampa clandestina, come infermiera per i partigiani e staffetta.
Antonio Meluschi, scrittore, già critico teatrale del «Corriere Padano», dall’inizio del 1944 collabora, insieme alla moglie Renata, al foglio clandestino pubblicato a Imola «La Comune». Catturato dalle SS, torturato e condannato dal Tribunale Speciale, riesce a fuggire per poi diventare comandante partigiano nelle Valli di Comacchio. Dedica alla Resistenza il romanzo La morte non costa niente (1946); in seguito cura per l’Anpi la raccolta di testimonianze sulla lotta di liberazione nel Bolognese e in Romagna Epopea partigiana (1948), mentre l’esperienza della Resistenza anche nel Ferrarese è ripercorsa nel romanzo L’armata in barca (1978).
Tra la fine di ottobre 1944 e la primavera 1945, “Il Dottore” - suo nome in codice - comanda la 35a bis Brigata Garibaldi “Mario Babini”, che opera sul territorio articolata in tre formazioni: “Mazzini” nell’Argentano, “Agida Cavalli” nel Filese, “Edgardo Fogli” nel Comacchiese, con base operativa nella casa colonica della Piguréra [la Pecorara], tra il Mulino di Filo e le Valli.