Colorno, Palazzo ducale

Percorsi extraurbani / La Resistenza nella Bassa parmense: Baganzola, Torrile e Colorno

Colorno, Palazzo ducale

Piazza G. Garibaldi, n. 26 (Colorno)

Dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, le forze di occupazione tedesche decisero di istituire a Colorno un Comando territoriale. Come sede scelsero il Palazzo ducale e, al fine di sfruttarne ogni spazio utile, chiusero il museo allestito da Glauco Lombardi, all'epoca ospitato in alcune delle sale che affacciano sul parco, per metterle a disposizione del costituendo Comando. I locali vennero rapidamente sgomberati dagli oggetti museali, che Lombardi provvide a riunire nella sua abitazione di via Saffi, l'attuale sede della filiale di Colorno della Cassa di Risparmio, mentre le stanze del piano nobile vennero adattate a locali dormitorio ed un modello ligneo della Chiesa di San Liborio venne utilizzato per alimentare un camino. 

Il parco venne, inoltre, adibito a deposito di carburante; una scelta, questa, che mise in pericolo l'intero complesso monumentale, anche se sui tetti del Palazzo, in ragione del fatto che esso costituiva una pertinenza dell'Ospedale psichiatrico provinciale (Opp), vennero dipinte delle croci rosse, al fine di evitare i bombardamenti aerei. 

Ciononostante, il parco fu oggetto di numerose incursioni aeree, che in più di un'occasione centrarono i serbatoi di benzina provocando vasti incendi, anche se fortunatamente la Reggia, San Liborio e l'adiacente convento, sede dell'Opp, non subirono danni strutturali. 

Nel Palazzo ducale, a partire già dal 1941, vennero anche ospitati alcuni internati civili, ebrei o cittadini stranieri di Paesi in guerra contro l'Italia che, allo scoppio del conflitto, erano stati fermati dal Governo italiano e sottoposti all'“internamento libero”, ovvero confinati in piccoli centri per essere meglio controllati. 

Tra loro vi era, ad esempio, il trentaduenne Luigi Puthod, cittadino francese nato a Milano da padre francese e madre italiana, che era stato arrestato nell'estate del 1941, in seguito alla denuncia della milizia fascista. Su di lui gravava l'accusa di aver «continuamente ricevuto a mezzo di un apparecchio radio installato nel laboratorio di modisteria e di sartoria gestito dalla moglie [...], notiziari radiofonici esteri alla presenza della propria moglie e lavoranti, alle quali avrebbe poi commentato le notizie in senso favorevole al nemico, dimostrando di nutrire sentimenti antifascisti e antigermanici». In un rapporto inviato nel maggio del 1941 dalla locale Questura al Ministero dell'interno si legge, inoltre, che «l'odio che l'animava contro l'Italia era dovuto all'alleanza con la Germania».

Per alcuni mesi, tra il maggio del 1942 e l'ottobre del 1943, venne internato a Colorno anche l'ebreo cecoslovacco Massimiliano Pollitzer, residente a Milano dove lavorava come rappresentante di commercio per un'importante azienda inglese specializzata nella fabbricazione di latta, il quale, pur essendo sposato con un'italiana cattolica, non riuscì a sfuggire all'internamento. Anche nel suo caso, le ragioni dell'arresto erano di natura politica, per aver manifestato apertamente – stando alla versione della polizia – «i suoi sentimenti anglofili e la sua ostinata avversione al fascismo e al nazionalsocialismo». Prelevato dalla sua abitazione milanese in via Monte Napoleone 45, fu inviato inizialmente nel campo di concentramento di Ferramonti Tarsia, vicino Cosenza. Nel gennaio del 1941 venne trasferito in quello di Montechiarugolo, dove rimase fino al maggio del 1942, quando gli venne concesso insieme alla moglie l'“internamento libero” nel comune di Colorno. Nell'ottobre del 1943, tuttavia, venne nuovamente prelevato e rinchiuso, in qualità di «prigioniero politico», nel campo di Scipione, dove rimase fino al febbraio del 1944, quando fu trasferito, via Fossoli e Verona, ad Auschwitz. Morirà nel campo di Dachau in data sconosciuta.

Testimonianza tratta da “La Resistenza a Colorno”


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